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La ressa delle strade chiuse al traffico, piena di bella gente piena di illusioni e voglie, non mi dà fastidio.

Ostento una spavalderia, che non mi appartiene, come fosse uno scudo mentre con la mia rossa bicicletta schivo gomiti, spalle e gambe della variegata fauna umana che popola, in estate, questa città di turismo. Occhieggio qua e là le troppo abbondanti grazie di qualche avvenente turista, mi fermo ad ascoltare, senza troppo entusiasmo, un “pianista di piano bar” che esegue il suo repertorio come fosse una canzone sola.

La vera ragione per cui sono qui (e che non volevo confessarmi) è, però, la speranza di rivederla. Lei lavora in uno di quei negozi  che in questo periodo sono pieni di saldi. Il negozio, un posto abbastanza alla moda, si affaccia su una piazzola che, ad un certo punto, dà respiro al viale principale della città.

Mi avvicino alla vetrina, quasi del tutto coperta da cartelli e manifesti che avvertono della “vendita promozionale di tutto l’assortimento estivo” e la vedo intenta a ripiegare un paio di pantaloni. Non mi ha ancora visto, da oltre la porta del negozio, ancora in sella alla mia bici, la fisso fino a che non alza gli occhi e mi vede. Alzo il braccio, agitandolo, e la saluto:
Ciao! – le dico
Ciaooo – fa eco lei, allungando la ‘o’ per sottolineare la sorpresa – ‘Dai, entra dentro!

Appoggio la bici ad uno dei grossi vasi che ornano l’esterno del negozio e, non del tutto sereno,  accolgo il suo invito.  Sull’entrata, vicino alla cassa, c’è un signore di mezza età, stempiato, che parla con una ragazza, probabilmente è il padrone, la cosa mi mette un pò a disagio, ma questi non accenna neppure ad uno sguardo così passo oltre e mi fermo di fronte a lei, solo un tavolo ci divide.

Come stai? – faccio io, lei non risponde, o forse sono io che non ricordo la risposta, aggira veloce il tavolo e mi si avvicina. Indossa una maglia di cotone intrecciato a piccole righe blu, nere e bianche e ha vistosi monili al collo e al polso (il giallo oro sul bronzo della sua pelle è delizioso), i capelli, neri e lisci, li tiene tirati dietro come va adesso, ma ricordo che già l’anno scorso li aveva così, la pelle è lucida, tirata, ma non stanca, solo gli occhi rivelano, forse, la necessità di dormire un pò di più. Grossi orecchini rotondi, che mi ricordano l’Africa, completano la sua perfetta ‘mise’ di stasera. Solo ora noto quanto è dimagrita, glielo dico, anche se non serve: è bella, bella come non lo è mai stata prima o forse pare a me che sia così.

Fate la svendita? – balbetto distogliendo gli occhi dal suo sguardo e fingendo di interessarmi ai colli delle camicie esposte sulle mensole.
Non lo vedi!?– fa lei, un pò brusca, come suo solito, ma mi piace stavolta la sua immediatezza
Anche da Oscar c’è la svendita, hai visto?
Certo, ci sono passato davanti venendo qui 
E hai già finito il servizio militare? – mi chiede, cambiando discorso
No, mi mancano ancora un pò di mesi– rispondo guardandomi di nuovo intorno e comunicando inconsciamente il mio disagio, lei probabilmente  lo intuisce, mi prende per un braccio e mi trascina fuori. Ci fermiamo sulla destra della vetrina appena fuori dalla visuale di chi stà dentro.
Sei stupita di vedermi qui dopo tanto tempo?– esordisco riprendendo fiato
Sì, un pò‘- risponde lei – ‘ma con chi sei, sei solo? –
Sì solo, stasera e sempre, tutti i giorni della mia vita, tranquillo e sereno!‘- mento spudoratamente -‘ma volevo dirti che avevo intenzione di farti un regalo.
Che regalo? Di cosa stai parlando?– sento che la sua curiosità è sincera
Ricordi due anni fa, un concerto a Milano, forse avevi pensato che non me lo sarei mai ricordato, vero?
E’ contenta, sorride, il viso le si accende un pò.
Non sei stato male con me, è vero?‘- aggiunge con tono suadente, sicura di sè.

Come in un lampo rivedo momenti non proprio esaltanti del nostro rapporto, ma il tempo seleziona i ricordi e ora sento solo una curiosa nostalgia. Però non le rispondo e bofonchio una qualche storia sull’importanza dei ricordi , della memoria.
Ma come sei messo stasera!-‘ sbotta lei improvvisamente indicando i miei larghi pantaloni e toccandomi la camicia.
Me li ha regalati un amico
Ahh li avevo anch’io così, ma adesso ne ho fatto una gonna
Poi tace un attimo, mi squadra e continua:
Sei un pò ingrassato, eh?
Sì, un pò.– confermo io
Allora mi vuoi dire che cos’è questo regalo?
Beh aspettatelo, una di queste sere torno a trovarti e te lo porto. Ti piace ancora Joe Jackson?
Il suo sorriso ora si allarga e, come sa fare benissimo, mi cinge la vita con un braccio e mi stringe a sè baciandomi su una guancia.

E’ molto spontanea, in un attimo realizzo che un solo suo gesto vale più di tante mie parole (ed è sempre stato così), che le contraddizioni che io vedevo nella sua vita erano solo superficiali. Lei ha sempre vissuto , al contrario di me, a contatto con sè stessa a prescindere da quello in cui diceva di credere. La differenza tra me e lei stava, forse, proprio qui: le sue, in realtà, le sue non erano contraddizioni, mentre io mi consumavo credendo che fosse più importante sapere come vivere che non tentare, con tutta l’imperfezione probabile, di farlo.

Sento che il suo è un abbraccio fraterno, molto bello, ma che sancisce una chiusura definitiva, Stiamo un momento senza parlare, poi lei guardando all’interno del negozio mi dice che deve tornare a lavorare perchè ‘c’è gente’-Ciao, ci sentiamo!– Conclude.

Io prendo la mia bicicletta e le rivolgo un saluto falsamente felice, non la guardo rientrare e mi avvio velocemente sulla strada, tra la gente. La sento vittoriosa su di sè e su di me. E’ come se avesse vinto una scommessa. Mi ricordo quando scherzosamente e proprio nei momenti in cui forse era più giù, una scommessa con sè stessa la faceva davvero:
Vedrai– mi diceva, parlando magari di un suo nuovo vestito – stasera sono la più ‘figa’, stasera spopolo, non c’è storia! con quel gergo giovanile che lei sembrava già imitare pur avendo l’età giusta. E io le sorridevo così come si fa con i bambini, e invece eccola qua questa donna-bambina, credevo di averla capita, credevo non avesse più niente da dirmi, credo, ora, di averla sottovalutata. Ma proprio questa considerazione mi fa comprendere improvvisamente il vizio di fondo del mio atteggiamento nei suoi confronti. L’assurda competizione, il duello che pretestuosamente combattevo con lei e che mi serviva per trovare una forma di soddisfazione alle frustrazioni che vivevo. E allora mi piaceva qualche volta vincere e schiacciarla sotto il peso delle parole oppure mi compiacevo delle sconfitte e mi facevo consolare. Già, ma adesso è veramente finita, mi rendo conto di averla persa, definitivamente.

Me ne vado lungo la strada che costeggia il mare. Le luci delle auto mi esplodono negli occhi velati da un piccolo, sommesso, pianto. Che stia cominciando ad amarti?

(agosto 1986)