Mi assale un certo deja vu, ma qualcosa bisognerà pur fare, bisognerà che prenda posizione che non mi lasci vincere da questa sensazione deprimente. E’ paradossale, o forse no: tanto più si è atteso questo momento e tanto meno, ormai, si ha fiducia che produca un vero cambiamento in questa palude. In cosa si potrebbe avere ancora fiducia, su cosa si potrebbe ancora investire la residua, sempre più scarsa, volontà di partecipare ?
La mia generazione è arrivata alle soglie dei cinquant’anni ma ha davanti a sè l’ingombrante generazione del ’68 che si guarda bene dal lasciare un potere a cui è arrivata prima contestandolo e poi, molto rapidamente, omologandosi e dietro scalpita la generazione “U” quella di Marione Adinolfi, meno garantita di noi, ma molto meglio integrata e a suo agio nella società della rivoluzione digitale. Se devo scegliere, tuttavia, preferisco stare con questi trentenni, non è che sia molto a mio agio, non ho la saggezza del fratello maggiore e anzi, al contrario, credo di avere molto da imparare da questi blogger molto pragmatici e molto poco suggestionabili dalle ideologie.
Oggi su Repubblica un editoriale del direttore Ezio Mauro, nello sproloquio di questi giorni su antipolitica e dintorni mi sembrano delle considerazioni condivisibili: “Quando la crisi è di sistema e l’indebolimento del Paese è l’unico risultato visibile ad occhio nudo, davanti alla secessione strisciante di troppi cittadini dalla cosa pubblica bisognerebbe che l’establishment italiano evitasse di contare in anticipo le monetine da lanciare contro la politica, aspettando la supplenza e sognando l’eredità. Meglio chiedersi, finché c’è tempo, per chi suona la campana.”