Non sono molto devoto (e me ne dolgo) ma non sono ateo. Credo, anzi, che la ricerca spirituale (anche se il termine è largamente abusato non trovo, al momento, sinonimi efficaci) sia la forma più elevata di conoscenza. In tutte le religioni, al di là delle forme e dei riti legati ai diversi contesti geografici e culturali, ravviso il medesimo tentativo di conoscere l’inconoscibile e di dare, in definitiva, significato alla vita e al suo mistero.

La ricerca spirituale è una esperienza necessariamente individuale, è un percorso in cui, però, ci si può giovare dell’aiuto degli altri e, spesso, di qualcuno in cui riconosciamo il meglio che noi potremmo essere e che, si dice, in realtà già siamo ma di cui non riusciamo ancora ad essere consapevoli. Quindi il gruppo, la comunità e, dunque, la Chiesa sono, per me, il sostegno dei padri e dei fratelli che aiutano nella crescita e ne sono al contempo aiutati.

La libertà, in questo ambito, è un valore fondamentale: non è possibile essere ‘costretti’ a credere in Dio, è semplicemente assurdo, come è assurdo, ingiusto e controproducente imporre ad altri le proprie credenze. Queste sono idee, mi pare, ovvie tuttavia bisogna riconoscere che laddove una qualsiasi confessione religiosa ha assunto un potere temporale molto spesso essa ha snaturato sè stessa divenendo fonte di divisione e sofferenze. Essa ha inoltre posto in essere pesanti limiti alla libertà della ricerca scientifica di cui è rimasta emblematica, per rimanere al contesto occidentale, la vicenda di Galileo Galilei.

Imporre per legge una morale non funziona oltre che essere ingiusto.  Non cessa quindi di stupirmi l’attivismo ‘politico’ di parte delle gerarchie vaticane che non perdono occasione per esternare posizioni, in molte delicatissime questioni che riguardano la vita e la morte,  che non fanno altro che radicalizzare il contrasto tra laici e cattolici e che,  a mio parere, non contribuiscono affatto a dare soluzioni umane e praticabili  (in questo momento storico) con l’umilità e la saggezza necessarie quando si affrontano problemi così grandi.

Dirò di più, secondo me, qualsiasi interferenza e commistione tra il potere temporale (lo Stato) e la religione è esiziale per la religione stessa perchè se da una parte ne diffonde e afferma la presenza secolare dall’altra ne svilisce i contenuti più autentici e autenticamente spirituali, quindi qualsiasi forma di legislazione ‘ad-hoc’ nei confronti di una religione (che si giustifica unicamente, ad esempio, perchè trattasi della confessione più largamente diffusa e praticata in un Paese) è, a mio parere, sbagliata e non aiuta affatto l’affermarsi dei valori più autenticamente religiosi ma ‘soltanto’ il perpetuarsi, in forme diverse, del medesimo potere secolare delle ‘chiese’ che tanto male ha fatto agli uomini (in passato ed anche oggi in varie parti del mondo) ed a Dio stesso (se così posso esprimermi).

Io credo che una forza liberale, democratica,  non antireligiosa ma non clericale debba riuscire ad affermare con decisione la scrupolosa, rispettosa, autonomia dei diversi ambiti in cui Stato e religioni operano, in questo senso  bisogna con forza sottolineare ciò che si dice all’art.7 della Costituzione e che fa premio sul successivo secondo comma. Personalmente non mi dispacerebbe affatto, limate certe asprezze, una posizione cavouriana che poi, mi pare, abbastanza vicina al dettato evangelico:

“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”